Uscirà a breve un mio volume scritto a quattro mani con Marco Albera inerente il Traforo ferroviario del Fréjus, una delle più grandi avventure della storia della tecnica e un momento cruciale del Risorgimento italiano.
L’argomento è decisamente poco noto nel nostro paese, anche se dovrebbe essere posto ad esempio della genialità italiana. Il Traforo del Fréjus – ma all’epoca lo chiamavano Traforo del Moncenisio o Traforo delle Alpi – è stato infatti una sfida vinta dal piccolo Regno di Sardegna e poi dal Regno d’Italia. Una sfida contro le asperità della natura ma anche contro coloro che scommettevano contro gli italiani. L’opera fu infatti realizzata grazie agli ingegni italiani, con manodopoera per lo più italiana e con l’attività politica ed economica dell’Italia. Qui, quando scrivo Italia, intendo il Piemonte che si è ampliato diventando Italia; perché il progetto fu concepito sotto Carlo Alberto, quando ancora l’unità d’Italia restava un bel sogno o una chimera. Ovviamente, l’opera fu poi completata ad Italia unita, oltretutto ben prima di quanto preventivato. Caso unico nella storia delle grandi infrastrutture del nostro paese! Una volta ceduta la Savoia alla Francia, il governo francese si impegnò a corrispondere una cifra all’Italia per la parte di una competenza (19 milioni di lire, sui 70 milioni complessivi), corrispondente alla porzione ancora da scavare. Una clausola nel Trattato di Torino del 1860 prevedeva un ristoro aggiuntivo al nostro paese in base agli eventuali anni di anticipo sui 25 stimati. Ciò si avverò puntualmente, perché dal 1860 lo scavo fu ultimato in 10 anni (13 anni in tutto), e la Francia dovette sborsare una somma cospicua oltre il preventivato, pari a 500mila lire per ogni anno risparmiato. Scommessa vinta dagli italiani!
C’è da evidenziare che furono i Savoia a capire prima della politica piemontese la necessità di un traforo. È dunque falso il luogo comune che vede il conte di Cavour come sostanziale ideatore del traforo; egli non avrebbe potuto fare nulla senza re Carlo Alberto prima e Vittorio Emanuele II poi. Negli anni ‘40, un imprenditore di Bardonecchia, Joseph Médail, convinse il re Carlo Alberto della assoluta necessità del progetto. Purtroppo, mancava la tecnologia necessaria allo scavo e i costi parvero da subito proibitivi. Ma Carlo Alberto era convinto che si sarebbe dovuto fare a tutti i costi il tunnel sotto le montagne. Vittorio Emanuele II proseguì l’opera del padre. Cavour intervenne con la sua instancabile attività politica, ma ormai era chiaro a tutti che il tunnel si sarebbe dovuto fare e che avrebbe portato solo vantaggi. Ad ogni modo, fu un bell’esempio di concerto tra le istituzioni, il popolo e specialmente gli abitanti di Bardonecchia, che “fecero” il Risorgimento a modo loro, con la loro esperienza e la loro volontà di rompere l’isolamento della valle. Il contrario di quanto accade oggi con la Tav. Ma questa è un’altra storia.