Il celebre frontespizio del De Cive di Thomas Hobbes (1588-1679) rivela due figure tra loro opposte. L’Imperium, raffigurato da una donna che regge orgogliosamente una spada, e la Libertas, impersonata da un indio americano. Dovendo usare gli stessi temi scelti dall’incisore secentesco, noi uomini del Duemila avremmo probabilmente disegnato la libertà come una seducente donna india. Invece, nel frontespizio dell’opera di Hobbes la libertà è raffigurata come un indigeno piuttosto malridotto; significativamente, alle sue spalle altri indigeni stanno dando la caccia ad un gruppo di fuggitivi. Il loro destino? Essere barbaramente arrostiti, come mostrano, sullo sfondo, dei grotteschi spiedi ai quali sono infilzati arti umani. Quella, per Hobbes, è la libertà: e tanti saluti al mito del buon selvaggio che affascinerà in particolare l’uomo colto e “illuminato” del XVIII secolo. Invece, l’Imperium rivela il suo fascino: alle spalle della donna armata vi è un paesaggio ordinato nel quale molti contadini lavorano la terra. L’immagine del frontespizio del De Cive è particolarmente significativa, perché ci rivela ciò che molti europei ancora pensavano degli indigeni in pieno Seicento. Senza lo stato, garante dell’ordine, l’uomo si sarebbe manifestato per come era davvero. E noi tutti sappiamo che, per il filosofo inglese, l’umanità si comporta secondo il motto latino: homo homini lupus.
Parafrasando Hobbes, viene da pensare che gli spagnoli in America abbiano portato l’imperium sottraendo la libertas; ma, questo fu un bene o un male? La conquista dell’America significò la drastica scomparsa di un mondo; una scomparsa nel sangue. Fu anche una rinascita, è vero, ma per un numero sempre crescente di commentatori ciò che avvenne nel Mondo Novo dal 1492 in poi fu un immenso e raccapricciante sterminio e solo successivamente, quasi per caso, fu anche la nascita di qualcosa. La modernità, figlia dell’Illuminismo, è restia a librarsi oltre ai fatti del passato per cercare di adocchiare, con vista d’aquila, cosa la storia abbia da insegnare. Tanto più, se i fatti che si dovrebbero analizzare sembrano corrispondere all’idea preconcetta che l’Illuminismo porta avanti, nelle sue declinazioni, da tre secoli: vale a dire che le religioni, e specialmente quella cattolica, sono invenzioni umane volte all’ottenimento del potere. Vera o no che sia questa affermazione, non è possibile non notare che una lettura asservita a questa ideologia non faccia molta strada: è destinata a scontrarsi con i fatti della storia, nei quali la religione non è un mero instrumentum regni, ma una condizione necessaria all’uomo in quanto animale sociale, perché la fede e la fiducia in una trascendenza sono caratteristiche costitutive delle società avanzate. In altre parole, per fondare l’America latina, Spagna e Portogallo non sfruttarono semplicemente il cattolicesimo: fu il cattolicesimo di Spagna e Portogallo che fondò l’America latina. E le due cose sono molto diverse.
Ciò avvenne nel sangue? Anche, ed è purtroppo un fatto dal quale non si può fuggire. La conquista dell’America fu condotta manu militari e, quindi, fu una guerra a tutti gli effetti. Ma, come il lettore ricorderà, non fu una guerra fine a se stessa: fu più simile ad una crociata, e le crociate univano lo slancio orizzontale verso una meta puramente terrena ad uno slancio verticale verso il Cielo. Il che non toglie la tragicità alle morti per mano dei conquistadores; però, slega il fattore della conquista da un obiettivo puramente umano, evidenziando la volontà di spagnoli e portoghesi di non saccheggiare e fuggire, ma di fondare e prosperare in quelle nuove terre di cristianità. E questa non è una giustificazione per i fatti terribili del primo XVI secolo, ma una analisi che ci permette di meglio comprendere ciò che avvenne e perché avvenne; altrimenti, finiremo per fare il conto dei morti con il pallottoliere e questa infausta contabilità non ci permetterà di percorrere una strada troppo dissimile da quella intrapresa dai tanti che condannano un passato che non conoscono.
[G. E. Cavallo, 1492: la crociata che cambiò il mondo, D’Ettoris Editori, Crotone 2023, pp. 205-207]