Giorgio Enrico Cavallo

I furti d’arte napoleonici: uno scontro di civiltà

Una volta giunti in Italia da padroni, i francesi si diedero ad una solerte spoliazione, devastando i segni della civiltà cristiana che li aveva preceduti. Un po’ come già avevano fatto in Francia, dove a fare le spese del loro furore ideologico erano state le chiese, le cattedrali, le abbazie ed i palazzi reali. Qualcosa di similare a ciò che era avvenuto nel corso della grande rivoluzione religiosa del secolo XVI. Leggendo in filigrana gli avvenimenti di quegli anni pare di capire che lo scopo, ben evidente, fosse quello di spazzare via la vecchia civiltà per sostituirla con una nuova. Una civiltà inferiore, quella cristiana, che doveva lasciare il posto ad una nuova civiltà, libera, uguale e fraterna, figlia dei Lumi e della tolleranza. Gli illuministi predicavano questo «scontro di civiltà» da tempo, e dunque è perfettamente naturale che ciò sia avvenuto a partire dalle primissime fasi della Rivoluzione. A noi moderni può sembrare strano pensare che dal 1789 in poi sia avvenuto uno scontro di civiltà, ma cos’altro possiamo aspettarci da due interpretazioni del mondo così antitetiche, quale quello cristiano e quello gnostico-rivoluzionario, di matrice illuminista? Soltanto così possiamo comprendere perché i francesi devastarono le chiese e dispersero i pezzi d’arte, raccogliendo i migliori in un sorprendente museo-babele quale fu il Musée Napoléon di Parigi. Migliaia di quadri confluirono in questa raccolta, provenienti da tutta Europa, ma nella gran maggioranza dei casi, almeno per quanto riguarda l’Italia, si trattò di opere di argomento religioso; eppure, non mancavano soggetti alternativi. Per capire questa apparente incongruenza, occorre andare con ordine.

[G. E. Cavallo, Napoleone ladro d’arte, D’Ettoris editori, Crotone 2022, p. 27].