Giorgio Enrico Cavallo

L’estinzione del canone occidentale?

Stanford University, 1987. Gli studenti – o, per meglio dire, gli illuminati professori prima e gli studenti poi – protestano per la presenza solo di alcuni autori e di alcuni classici nelle opere proposte per lo studio. L’episodio divenne noto come Rivolta di Stanford e, anche se nella nostra sonnolenta Italia le cose americane sembrano sempre molto lontane, la sua onda lunga è arrivata fin qui. Ovviamente, non è stata la flaccida dimostrazione degli accademici a stelle e strisce e dei loro accoliti a suscitare in casa nostra un dibattito: quello, a ben vedere, c’era già da tempo. Da secoli. Semmai, l’episodio americano è stato una significativa finestra di Overton, che ad occhi capaci di vedere ha permesso di scorgere il futuro anche dell’Italia, nel suo stato di colonia culturale e politica degli States.

Oggi, nelle facoltà e nei licei di tutto l’Occidente autori come Dante e Shakespeare, Omero e Virgilio sono ostracizzati; nel recente passato, il bando più o meno manifesto ha riguardato anche la letteratura russa, rea di essere… russa e pertanto figlia del demonio in persona. Guai a parlare di Tolstoj e Dostoevskij. Guai ad ascoltare le sinfonie di Tchajkovskij. La censura preventiva è trasversale: riguarda un po’ tutti i grandi, che proprio perché grandi hanno detto e scritto un po’ di tutto e con grande profondità. Via dunque Guareschi, estintosi come i dinosauri, nel sostanziale silenzio della critica e del mondo della politica italiana. Via la letteratura per l’infanzia: troppo stucchevole e infarcita di luoghi comuni, oppure appesantita da giganti come Salgari, oggi ignoto al pubblico dei giovani lettori. Via la poesia, notoriamente incomprensibile senza insegnanti in grado di renderla accessibile ai ragazzi (e via, via soprattutto la poesia studiata a memoria, non sia mai che la mente dei pargoli sia inquinata dai versi, che come sappiamo sono solo quelli prodotti dagli animali). Via, in ambito teologico, i pensieri dei grandi santi e perfino gli scritti di Benedetto XVI: accessibile, invece, tutto il pattume ideologico post-concilio e post-68.

Questo materiale di scarto, prodotto da autori minori e muti di fronte alla potenza dei giganti del passato, è oggi imposto a forza e introdotto nel nuovo canone, quello che si può apprendere dalla lettura delle nuove antologie letterarie per la scuola media e, a salire, dai libri di testo adottati in campo universitario. Serve una voce coraggiosa che, come Harold Bloom in America, denunci il decadimento e difenda dall’oblio i giganti del passato. Bloom, nella sua opera Il canone occidentale, identificò 26 scrittori definiti immortali, canonici per la loro originalità artistica e per la loro profondità morale, per il loro valore artistico e per la loro superiore immaginazione. Tutte caratteristiche fondamentali, essenziali: perché dedicare il nostro tempo, che è sempre meno, alla lettura di autori privi di fantasia, piatti nello scrivere, insulsi nei contenuti, o peggio amorali e succubi del pensiero unico? Per tanto così, meglio accendere la televisione. I nostri ragazzi, invece, sono costretti a studiare questi autori, perché le antologie sono ormai succubi di una ideologia ferocemente anti-occidentale. A Dante è preferito il primo tizio proveniente da qualche isola sperduta della Polinesia. Povero Dante! A tal proposito, pare che un giorno il premio Nobel Saul Bellow abbia affermato, a chi gli chiedeva lumi sulla multiculturalità della letteratura, di ignorare l’esistenza di un Tolstoj tra gli zulù.

Bellow scherzava, ma scherzava amaramente. Il fatto è che chi predispone i libri di testo e fornisce il materiale didattico ai ragazzi non scherza. Non scherza affatto. Non scherzavano, i professori di Stanford. Ecco perché è importante riappropriarsi del canone antico. Sulla scia di Bloom, ma anche di tutti coloro che sono semplicemente più grandi di noi e che ci hanno trasmesso una cultura che è la più grande e la migliore del mondo. Dobbiamo difenderlo, il nostro canone. Difendere la nostra letteratura, amare coloro che ci hanno preceduto e che ci hanno resi quelli che siamo. E, a dirla tutta, dovremmo pensare di fare come i professori e gli studenti di Stanford, ma al contrario: di fronte ai nuovi ignavi che ergono una insegna “che di ogne posa […] parea indegna”, dovremmo apporre un vessillo glorioso: quello fulgido della cultura occidentale.