Giorgio Enrico Cavallo

La fine di Luigi XVI, la fine della Vecchia Europa

Non era un eroe, non era cattivo e non era nemmeno colpevole. Eppure Luigi XVI perse la testa sotto la fredda lama della ghigliottina. Era il 21 gennaio 1793 e da quel giorno il mondo non è più lo stesso. È rotolato giù dalla ghigliottina, insieme alla testa del povero «Cittadino Capeto». La parola stessa Rivoluzione lo rivela: dal latino “revolvo”, rivoluzione significa rotolare, ritornare, riprovare. Nel caso più innocuo, significa mettere sottosopra – rivoluzionare – nel caso più drammatico, significa sterminare. Perché lo slogan «Liberté, égalité, fraternité» portò sotto terra centinaia di migliaia di cittadini innocenti, che avevano la sola, maledetta colpa di voler vivere in santa pace. Non portavano la coccarda tricolore? Erano pericolosi pensatori, e per insegnar loro a pensar bene gli si segava la testa. Non deridevano la religione? Potevano scoprire di persona se Dio esisteva, con un biglietto di sola andata per il Paradiso. Non volevano combattere in armi per la Rivoluzione? Le armi le avrebbero conosciute lo stesso, ma a loro danno.

Al netto del sangue e dei soprusi, la Rivoluzione fu dunque sordidamente ipocrita: accusava gli altri dei crimini che essa stessa commetteva. L’entusiasmante slogan dei sanculotti parigini si scontrò con il sangue della Vandea: e vallo a dire ai contadini vandeani – ma anche a quelli di Lione o della Bretagna – che i rivoluzionari che bruciavano i loro paesi e che li sterminavano con un accanimento animalesco erano loro fratelli. Vallo a dire alle decine di migliaia di ghigliottinati, tutti morti per la mano «fraterna» degli amanti della libertà. Certo, si dirà: decapitando Luigi XVI, placido sovrano con l’amore per il bricolage, la Rivoluzione ha almeno costruito un mondo nuovo, più giusto. Pochi realizzano che l’oppressione, il sopruso, la violenza non sono finiti con la Rivoluzione francese, anzi: c’è la viva sensazione che gli orrori siano via via aumentati anno dopo anno. Il comunismo, con la sua violenza e il bianco incubo dei gelidi gulag, ha attinto a piene mani dall’esperienza della Rivoluzione, tanto che appena ne ebbero modo i bolscevichi ammazzarono il «loro» Luigi XVI, lo sfortunato Nicola II. Il nazismo, dal canto suo, ha appreso la lezione dello sterminio dei vandeani, applicandola ad un altro – tristissimo – genocidio. E così via, fino ai soprusi arbitrari ed agli spettri inquietanti che aleggiano sulla sfortunata epoca nella quale viviamo. Ma – si dirà – la testa del re fu il prezzo per portare il mondo verso il progresso. Il mondo ha necessità di progresso, è vero, anche se esso – come rivelò bene la sagace penna di Chesterton – è ambiguo: far progredire il mondo significa rinunciare a qualcosa che ben conosciamo – la patria, la fede, la tradizione – andando in cerca di una quantità molto maggiore di nessuno sa cosa. Segata la testa di Luigi XVI, è come se l’uomo fosse andato brancolando in cerca di qualcosa di ignoto. Talvolta ha trovato grandi tesori; più spesso, ha sollevato un lembo di inferno.

Giorgio Enrico Cavallo

Da: CronacaQui, 17 gennaio 2021